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Martedì, 16 Settembre 2025 16:47

Redford, la luce che rimane

Scritto da Carlo Di Stanislao

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“La vita è essenzialmente triste. La felicità è sporadica. Arriva in momenti, e basta. Bisogna estrarre il succo da ogni momento.” — Robert Redford

La luce che Robert Redford ha portato nel cinema e nella vita non si spegne con la sua morte: continua a brillare nei film, nei ricordi, nelle battaglie che ha condotto, nell’impegno che ha reso la sua figura unica. Nel giorno in cui ci lascia, il mondo sembra più silenzioso, come se trattenesse il fiato davanti al tramonto di un’epoca. Un’epoca fatta di fascino, di arte, di pensiero libero; un’epoca che Redford ha attraversato non come semplice spettatore, ma come protagonista, poeta e custode di valori universali.

Il senso profondo dell’addio

Redford non è stato solo un attore né soltanto un regista: è stato un simbolo di autenticità. Nato a Santa Monica nel 1936, cresciuto in un’America che cambiava e che lui stesso avrebbe contribuito a trasformare, ha incarnato un modello nuovo di artista. Con Butch Cassidy and the Sundance Kid, The Sting, All the President’s Men, ha dato volto e voce a una generazione che cercava eroi fragili, uomini capaci di coraggio ma anche di dubbi. E poi, come regista, ha saputo sorprendere tutti con Ordinary People, un film delicato e profondo che gli valse l’Oscar nel 1981.

La sua carriera non è stata solo un susseguirsi di successi, ma un percorso coerente, segnato da scelte coraggiose e dalla volontà di non fermarsi mai alla superficie. Redford sapeva che il cinema poteva essere intrattenimento, ma credeva che dovesse essere anche responsabilità, testimonianza e memoria collettiva.

Un uomo che ha saputo unire successo e coerenza

Molti attori hanno conosciuto la gloria, ma pochi hanno resistito alle tentazioni che la fama porta con sé. Redford ha saputo custodire il proprio volto pubblico senza diventare prigioniero dell’immagine. Non ha mai rinunciato al suo fascino né al suo carisma, ma li ha sempre messi al servizio di storie che contavano davvero.

La sua coerenza è stata evidente nelle scelte: non ha accettato film solo per tornaconto economico, non ha cavalcato mode passeggere. Ha cercato ruoli che lo mettessero alla prova, che gli permettessero di raccontare temi più grandi di lui. Non era interessato a interpretare solo personaggi vincenti, ma uomini veri, con contraddizioni, limiti, fragilità. È per questo che il pubblico lo ha amato e lo amerà ancora: perché dietro il volto perfetto c’era una persona autentica.

Anche come regista, Redford ha scelto di raccontare storie di persone comuni, storie difficili, vicende in cui non c’era spazio per l’eroismo spettacolare, ma solo per il coraggio quotidiano. In questo modo ha restituito dignità a ciò che di solito il cinema tralascia: la vulnerabilità, la sofferenza, l’umanità imperfetta.

Estrarre il succo da ogni momento

La frase che apre questo articolo — “Bisogna estrarre il succo da ogni momento” — riassume il senso della sua vita. Redford non ha mai vissuto con leggerezza superficiale. Ha saputo guardare ogni esperienza con intensità, trasformando perfino il dolore in un’occasione di crescita.

La sua biografia è segnata da lutti profondi: il figlio Scott morto appena neonato, e poi James, scomparso nel 2020. Ferite che avrebbero potuto spezzare chiunque, ma che Redford ha trasformato in energia per andare avanti, per continuare a creare, per impegnarsi ancora di più. Non ha mai nascosto la sofferenza, ma ha cercato di darle un senso.

Il suo cinema riflette questa filosofia: nei suoi film c’è sempre un equilibrio tra dolore e speranza, tra ombra e luce. Non c’è mai retorica, solo la verità di una vita che non concede felicità costante, ma regala momenti intensi da custodire. Guardare un film di Redford significa imparare a non temere la tristezza, ma ad attraversarla per cogliere la bellezza che si nasconde nelle crepe.

La libertà dell’arte e l’amore per la natura

Un’altra cifra essenziale di Redford è stata la libertà. Non sopportava schemi rigidi, né nel cinema né nella vita. È stato ribelle senza urlare, rivoluzionario senza eccessi. Ha fondato Sundance non per moda, ma per offrire un’alternativa reale: un luogo dove il cinema indipendente potesse respirare, crescere, fiorire.

Quello che oggi conosciamo come uno dei festival più importanti del mondo è nato dalla sua intuizione. Redford sapeva che senza spazi liberi il cinema rischiava di diventare solo industria, prodotto senz’anima. Sundance è diventato la culla di registi, sceneggiatori, attori che hanno trovato lì la loro prima possibilità. È la sua eredità più viva e concreta, il dono più grande lasciato al futuro.

Accanto all’arte, la natura. Redford non ha mai smesso di amarla, difenderla, viverla. Non era un ambientalista da salotto: era un uomo che si sporcava le mani, che investiva energie e risorse per salvaguardare parchi, foreste, spazi aperti. Nei paesaggi delle montagne dello Utah, dove aveva trovato la sua casa e il suo rifugio, vedeva riflessa la verità più profonda: l’uomo non è il padrone della terra, ma il suo custode.

Il film più bello e incompreso: Leoni per agnelli

Tra i tanti titoli della sua carriera da regista, uno merita una menzione speciale perché rappresenta forse il suo lavoro più duro, difficile e incompreso: Leoni per agnelli (Lions for Lambs, 2007). In questo film Redford affrontò con coraggio temi scomodi come la guerra in Afghanistan, il cinismo della politica e la passività della società civile.

Il film alterna tre storie: quella di due giovani soldati intrappolati in un’operazione militare fallimentare; quella di un professore universitario (interpretato dallo stesso Redford) che cerca di scuotere i suoi studenti dall’indifferenza; e quella di un senatore ambizioso (Tom Cruise) che manipola i media per ottenere consenso.

Non è un film spettacolare né accomodante. È un’opera di parola, di dialogo serrato, che punta il dito contro il disimpegno morale e la mancanza di coraggio civile. Fu accolto tiepidamente dalla critica e rifiutato dal grande pubblico perché chiedeva troppo: non offriva evasione, ma responsabilità; non consolava, ma metteva a disagio.

Eppure, con il senno di poi, Leoni per agnelli è uno dei lavori più importanti di Redford. È la prova della sua integrità: non temeva di perdere consensi pur di dire qualcosa di necessario. Quel film resta come un testamento etico, come il grido di un artista che non ha mai voluto ridurre il cinema a intrattenimento, ma lo ha sempre inteso come strumento di coscienza.

Un’amicizia leggendaria: Redford e Newman

Impossibile parlare di Robert Redford senza ricordare Paul Newman. Insieme hanno formato una delle coppie più iconiche e amate della storia del cinema. Butch Cassidy and the Sundance Kid (1969) e The Sting (1973) non furono solo due successi straordinari, ma l’inizio di un sodalizio umano e artistico che ha segnato un’epoca.

Newman e Redford non erano semplicemente due star sullo schermo: erano complici, fratelli, due facce della stessa idea di cinema. Newman, più maturo e ironico; Redford, giovane e magnetico. Insieme creavano un’alchimia perfetta, fatta di leggerezza e intensità, di amicizia autentica e rispetto reciproco.

La loro amicizia continuò anche fuori dal set, lontana dai riflettori. Entrambi impegnati in cause sociali e ambientali, entrambi uomini allergici all’ipocrisia e alle regole vuote di Hollywood, trovarono uno nell’altro una sorta di specchio. Redford stesso confessò più volte che avrebbe voluto lavorare di nuovo con Newman, ma la malattia di quest’ultimo non rese possibile il progetto.

Quel rimpianto, però, non cancella la bellezza di ciò che hanno costruito. Newman e Redford hanno rappresentato un’idea di cinema che non era solo spettacolo, ma amicizia, onestà e complicità. Due leggende che, pur non essendo più tra noi, continueranno a camminare fianco a fianco nella memoria di chi ama la settima arte.

Il ritiro dal cinema: un addio sereno con The Old Man & the Gun

Nel 2018 Redford annunciò il suo ritiro dalle scene con The Old Man & the Gun, un film che racconta la storia di un rapinatore gentiluomo interpretato dallo stesso Redford. La scelta di chiudere la carriera con un ruolo delicato, ironico e allo stesso tempo riflessivo rappresenta perfettamente la filosofia di tutta la sua vita: uscire di scena senza clamore, con grazia, con dignità, lasciando spazio agli altri senza rinunciare alla propria voce.

Quel film è un testamento poetico: Redford non ha cercato applausi finali o trionfi spettacolari, ma ha chiuso il cerchio in modo coerente con la sua integrità artistica e umana. Come ogni suo gesto, anche questo addio è stato misurato, rispettoso, luminoso.

Dolore e resilienza

La vita di Redford non è stata priva di dolore. Ha conosciuto la solitudine, le ombre che si addensano quando la fama non basta a colmare i vuoti più intimi. Ma anche in queste tragedie, non ha mai ceduto alla disperazione. Ha trasformato il dolore in energia, dedizione e sostegno agli altri. Ha saputo raccontare la fragilità senza vergogna. I suoi film non hanno mai nascosto la durezza dell’esistenza, eppure non hanno mai ceduto al pessimismo assoluto. Redford ha sempre cercato una luce, anche nelle storie più cupe, anche nei momenti più amari.

Eredità per le generazioni future

Quando una persona come Robert Redford se ne va, la domanda inevitabile è: cosa resta?

Resta la sua filmografia, capolavori che continueranno a far crescere nuove generazioni, che insegneranno, ispireranno, conforteranno. Resta Sundance, che non è solo un festival, ma un’idea: che il cinema autentico, radicale, diverso, possa esistere, possa resistere, possa cambiare il mondo un fotogramma alla volta.

Resta il suo impegno civile: dalla tutela ambientale, ai diritti delle comunità, fino al semplice invito a guardare oltre il facile, a non accettare ogni compromesso. Resta soprattutto la sua voce silenziosa, che ci ricorda che la vera grandezza non è gridata, ma vissuta giorno dopo giorno.

Resta anche la memoria di un uomo che ha saputo portare nel cinema la sua esperienza personale, la sua malinconia e la sua speranza. Guardare Redford recitare significa sentire che dietro quel volto non c’è solo un attore, ma una persona che ha vissuto davvero ciò che racconta.

L’addio che illumina

La morte di Robert Redford non è un punto finale. È un cambiamento di prospettiva. Ora che non è più qui, la sua voce risuona più forte: nelle immagini dei suoi film, nei passi di chi vuole continuare il suo lavoro, nei parchi naturali che difendeva, nei giovani registi che guardano a Sundance come a un orizzonte di libertà.

Possiamo immaginarlo sereno e senza rimpianti, mentre si allontana al volante di una vecchia Porsche, come il protagonista di Spy Game, con il vento tra i capelli e un sorriso discreto. La sua eredità non è fatta solo di film o premi, ma di coraggio, gentilezza e passione. Ogni volta che il pubblico si siederà davanti a uno dei suoi capolavori, la luce tornerà a risplendere, ricordandoci che la vera grandezza è quella che lascia un segno nel cuore.

Grazie Robert, grazie per tutto.

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