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Lunedì, 01 Marzo 2021 15:38

Archeoclub, dopo covid importante turismo all’aria aperta, archeologico e religioso

Scritto da redenz

Tutelare il patrimonio ambientale e culturale dell’Italia. Santanastasio (Presidente Nazionale ArcheoClub D’Italia): “la Sicilia rappresenta il grande patrimonio archeologico, storico e culturale ma anche paesaggistico della nostra Nazione. Nel dopo Covid saranno ancora più importanti il turismo all’aria aperta, turismo archeologico e turismo religioso”. 

“L'Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna, diceva Wolfgang Goethe in occasione del suo viaggio in Italia dal 1786 al 1788 ed aveva ragione. Ad esempio la Sicilia rappresenta il grande patrimonio archeologico, storico e culturale ma anche paesaggistico della nostra Nazione e noi di Archeoclub vogliamo raccontarlo. Nel dopo Covid saranno più importanti il turismo culturale fatto di siti archeologici e storico architettonici oltre che naturalistici ed il turismo religioso”. Lo ha affermato Rosario Santanastasio, Presidente Nazionale di Archeoclub d’Italia.

Il grande contributo fornito negli anni da Archeoclub nel campo della valorizzazione del patrimonio culturale siciliano. 

Nel messinese Acheoclub lotta per la tutela della chiesa di S. Maria presso Mili S.Pietro. Archeoclub Messina, parte attiva di un Coordinamento di associazioni culturali, ha promosso presso le Istituzioni vari interventi finalizzati alla conservazione della chiesa di S. Maria presso Mili S.Pietro, nell’interesse della Comunità non solo locale, svariate iniziative volte a trasmetterne la conoscenza storico - architettonica e il desiderio di fruizione quale centro di cultura e di sviluppo per il nostro territorio.

"La chiesa di S. Maria presso Mili S. Pietro, nel territorio di Messina, fu edificata per volere del Gran Conte Ruggero d’Altavilla - ha affermato Bernardo Fazio, Presidente Archeoclub d’Italia sede di Messina - che ordinò Michele Primo Abate della chiesa, nel Dicembre del 1091. Secondo quanto si apprende da una lapide cinquecentesca, oggi conservata presso il Museo Regionale di Messina, nella chiesa vennero deposte le spoglie di Giordano, figlio di Ruggero I°. La chiesa di S. Maria è una delle prime fabbriche edificate dal Conte Ruggero e rappresenta, nel panorama degli insediamenti monastici di epoca normanna nel Valdemone, un esempio che ha in sé tutte le componenti che saranno replicate man mano che si acquisiva maggiore esperienza. Infatti, il corpo del santuario che si differenzia sia compositivamente che strutturalmente dallo spazio della navata, le facciate scandite da una successione di lesene concludentisi ad archi intrecciati, la presenza dei phastophoria, il modo di far penetrare la luce all’interno della chiesa, l’impiego di archi acuti, sono tutte caratteristiche che si manifestano a partire dall’esempio di Mili, in tutte le realizzazioni successive, seppur con differenti declinazioni locali.

Annesso all’edificio di culto vi è un monastero, che si organizza intorno a due chiostri, con pluristratificazioni che abbracciano un arco temporale che va dal XII sec fino al XIX sec. Il XV secolo vede un generale declino dei cenobi basiliani sull’Isola. Non fa eccezione S. Maria di Mili. Nel 1542 i beni del monastero risultano incorporati all’ospedale di S. Maria della Pietà di Messina e nel 1866 acquisiti dal Demanio, che vendette il monastero a privati, mentre la chiesa è patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, che ha provveduto ad un parziale restauro nel 2004, e quindi concessa in uso per fini di culto all’Arcidiocesi di Messina - Lipari-Santa Lucia del Mela in data 15/10/2005. La tutela del sito è in atto affidata alla Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina. La via di accesso è invece di proprietà dell’Amministrazione comunale. Situazione burocratico-legale alquanto complessa. Il sito da lunghi anni versa nel completo abbandono, ricoperto da erbacce e rovi, tana di animali, preda di vandali e in balia delle intemperie, nel totale degrado e a rischio crollo. I meccanismi di danno che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno determinato una situazione di pericolosità estrema per la conservazione di un monumento di significativa importanza nel panorama delle presenze cosiddette “basiliane”.

Oltre la imprescindibile messa in sicurezza, è necessario procedere con la conservazione e la valorizzazione dell’intero complesso religioso in funzione delle esigenze delle comunità di riferimento e la messa in rete (in particolare nel messinese si contano circa un centinaio di presenze religiose che testimoniano il passaggio dal rito greco a quello latino) onde costituire in primis una migliore qualità della vita delle comunità e stimolare l’interesse di un turismo selezionato, attento e sensibile alle istanze che si intendono preservare e tramandare alle future generazioni. La nostra sede di Messina è attiva nel tentativo di recuperare definitivamente tale bene”.

 

 

E a Licodia Eubea Archeoclub ha riqualificato il Monastero di San Benedetto e Santa Chiara.

 

“A Licodia Eubea dell’Archeoclub, in provincia di Catania, i volontari dell’Associazione hanno riqualificato l’edificio chiesastico del Monastero di San Benedetto e Santa Chiara. L’antica chiesa, l’undici luglio 2011, data di avvio dei lavori, si presentava in uno stato di completo degrado ed abbandono. Costituita da un’unica navata – ha affermato Giuseppe Giacomo Caruso, Presidente di Archeoclub d’Italia sede di Licodia - nel 1987 era stata oggetto di alcune operazioni di consolidamento condotte dalla Soprintendenza di Catania, che avevano anche permesso di riportare l’ambiente alla volumetria originaria, eliminando la soppalcatura e le tramezzature realizzate a partire dalla seconda metà del XIX secolo. L’intero complesso monasteriale, dopo la soppressione degli origini e delle corporazioni religiose, subì pesanti modifiche per meglio andare incontro alle esigenze relative alle diverse destinazioni d’uso. Il chiostro femminile di Santa Chiara era stato fondato nel 1595 grazie alle elargizioni di Alfio Vassallo, nipote del canonico Martino La Russa. I due monasteri di Santa Chiara e San Benedetto vennero riuniti sotto un unico titolo solo dopo il terremoto del 1693. L’edificio, restaurato dopo la catastrofe, accolse infatti le monache clarisse ed anche le benedettine provenienti dal distrutto monastero di San Benedetto che sorgeva nelle prossimità del castello. L’interno della chiesa presenta diversi elementi che ricordano l’insolita convivenza dei due ordini sotto lo stesso tetto, come lo stucco dello stemma bipartito con le insegne dei due ordini che campeggia sull’arco trionfale del presbiterio. Il tempio, restaurato nel corso del XVIII secolo, venne sconvolto dagli interventi realizzati dal Comune dopo che le ultime monache furono costrette a lasciare definitivamente l’edificio nel 1875 per effetto delle leggi eversive. La chiesa divenne dapprima deposito del tabacco coltivato a Licodia e successivamente sede, fra gli altri, della pretura, dell’ufficio postale e dell’Associazione Nazionale combattenti e reduci. Si giunge dunque al 2011 ed agli interventi dell’Archeoclub che in quella occasione stipulò un contratto di comodato d’uso col Comune, proprietario del bene. I volontari dopo aver rimosso il guamo dei volatili, che negli anni aveva letteralmente invaso la navata, ed il materiale lasciato li in deposito, si sono occupati di ripristinare le imposte e di rendere fruibile l’ambiente. La chiesa, ritornata a far parte della vita della comunità di Licodia, ospita la Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica, giunta alla X Edizione”.

 

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