Lunedì, 16 Novembre 2020 15:46

Condannata ad amarti - Prima parte

Scritto da Marco Battista

Prima parte di quattro del racconto di Marco Battista 

Sono le undici del mattino quando Marilù si presenta alla porta di Livia. Livia è l’unica persona alla quale confidare le sue pene, perché sa che dall’altra parte c’è una donna nella sua stessa condizione. Il profumo che emana la inebria, e qualche attimo dopo si ritrovano nel letto a fare l’amore.

- È stato stupendo, ma ora devo proprio andare, mio marito sta per tornare e non posso rischiare. -

 

Condannata ad amarti

Livia e Riccardo sono sposati da quindici anni e hanno lasciato Milano per trasferirsi a Casteldardo, un piccolo paesino dove il ritmo di vita è decisamente più lento e di notte il cielo è stellato. Il casolare dove vivono è dipinto di un delicato azzurro, circondato da un grazioso giardino dal quale si gode di una splendida vista sul mare a est, mentre a sud lo sguardo può perdersi sulle verdi e ondulate colline cosparse di vigneti e ulivi. Adiacente al corpo centrale, formato da un elegante soggiorno dai soffitti alti impreziosito con quadri e divani dal tessuto consumato, persiste un vecchio forno a legna ancora funzionante, riparato dall’ombra di una grossa quercia. Durante il giorno Livia si inoltra nel giardino per lunghe passeggiate all’aria aperta o seduta sulla panchina a leggere un libro, ma anche la bella vita a lungo stanca e si ritrova sempre più spesso a guardare la tivù sprofondata sul divano. Ma dopo l’ennesima giornata trascorsa senza emozioni, non riesce più a sopportare e sbotta.

- Dici che è stata una buona idea venire a vivere in questa landa desolata? - Livia, quarant’anni, capelli biondi e uno sguardo azzurro, esterna i suoi dubbi al marito in una tiepida mattina di maggio, a colazione. Riccardo addenta un biscotto e manda giù un sorso di caffè.

- Lascia passare qualche altro giorno e vedrai che le cose miglioreranno. - accavalla le gambe e riprende a sfogliare il giornale.

- Vorrei tanto crederti, ma hai detto la stessa cosa anche l’ultima volta. - replica lei incrociando le braccia. - Mi stai ascoltando? -

L’uomo chiude il giornale e la fissa con occhi dolenti.

- Scusami, - si riprende lei - so che sono stata io a voler lasciare Milano, ma domani è lunedì e questa casa piomberà di nuovo nel silenzio. -

- Che c’è, adesso il paesino tranquillo dove finalmente-ci-si-può-rilassare non ti piace più? Te l’avevo detto che non era lo stress della città la causa dei tuoi disturbi, visto che ce li hai anche in questo paese sperduto. - Livia s’irrigidisce.

- Sì, forse hai ragione, ma tu non sai cosa significa sentire le gambe che si rifiutano di camminare e quel vuoto in testa che ti confonde, ti blocca e non ti fa più muovere. E poi pensavo di trovare almeno un’amica con cui parlare. -

- Ci vuole tempo, la gente di paese fa fatica ad accettare gli sconosciuti. - Riccardo riprende a leggere il giornale, ma la moglie avverte un risentimento nel suo tono e non può biasimarlo.

- Ma che fine hanno fatto quei paesi dove gli abitanti sono accoglienti? Hai visto come invece il più delle volte non ricambiano nemmeno i saluti? -

- Qui si conoscono tutti e le persone hanno più tempo per frequentarsi, è naturale che non ci considerino parte di loro. - Lo sguardo di Livia sembra velarsi. Anche a lei piacerebbe trovarsi qualcosa da fare, ma l’idea di salire sui mezzi pubblici affollati e beccarsi qualche malattia la terrorizza. Il giorno dopo Riccardo le chiede di passare in banca, ma piove a dirotto e lei si rifiuta categoricamente di uscire con quei tuoni. E se un fulmine la colpisse? Quella sera litigano pesantemente, finché Riccardo conclude la discussione con una frase che la ferisce.

- Ti ricordo che non siamo venuti a vivere in questo paese desolato solo per lavoro. - Per Livia è un altro duro colpo, sa che suo marito desidera avere un figlio, ma evidentemente non è la stessa cosa per lei, nonostante non gliel’abbia mai confessato esplicitamente. Le loro conversazioni si sono trasformate in dialoghi fugaci e monotoni, senza mai una parola intrigante, allusiva. Parlano di lavoro, delle cose da comprare, delle bollette da pagare. Ma continuare a discuterne a quell’ora non servirebbe a nulla, se non a farle perdere anche il sonno.

Il giorno dopo Livia se ne sta comodamente sulla panchina a leggere, mentre Riccardo ne approfitta per dare una ripulita il forno a legna. Dopo pranzo lei è già pronta di riprendere la lettura sdraiata sul letto, quando sentono suonare alla porta.

- Devono essere Alessio. - dice Riccardo. La donna che si presenta alla porta può avere appena qualche anno più di lei, un viso gracile, pallidissimo, con gli zigomi alti. La bocca è generosa con gli angoli leggermente voltati all’insù e un fascio di capelli color rame risaltano due magnifici occhi verdi. Il corpo magro e leggero è avvolto da un abito dai colori vivaci. Una donna che con tutta probabilità non ha mai dovuto lavorare, con i suoi begli occhi da gatta che ottengono sempre tutto. Emana un profumo così intenso che i sensi di Livia si risvegliano. Il suo sorriso radioso oscura la persona che è con lei, un uomo piuttosto esile, dalla ruvida carnagione olivastra, capelli cortissimi, occhi vispi e una folta barba scura.

Livia è in preda ai tormenti. Per la prima volta non è soltanto il conversare con dei perfetti sconosciuti a metterla a disagio, ma è proprio il suo cuore a tradirla. Ha la strana sensazione che quella donna rappresenti la soluzione di tutti i suoi problemi, che non potrà guarire senza averla accanto e che lei, Livia, non si perdonerà mai se non darà ascolto al suo cuore. Deve sapere assolutamente qualcos’altro di lei, non tanto per soddisfare la sua curiosità, ma per placare la sua anima.

- Salve, lei dev’essere Alessio. Prego, entrate. Mio marito mi ha detto che sareste passati. -

La folta barba dell’uomo sorride e si apre lasciando intravedere un sorriso luminoso.

- Piacere di conoscerla, Livia. - la sua voce è stranamente cavernosa per la sua costituzione.

Marilù è di nuovo con gli occhi su Livia, una donna un po’ in carne e con gli occhiali, dietro ai quali si nasconde uno sguardo mite e inoffensivo.

- Ma noi non ci siamo già viste? - le chiede la donna.

- No, credo di no. – risponde Livia confusamente, prendendo il vassoio che le sta offrendo, sfilandole davanti. In questo modo Livia ha la possibilità di osservare il suo fisico perfetto, lei invece dovrebbe perdere qualche chilo.

- Perché mi guardi così? - Livia sussulta. C’è qualcosa di irresistibile in Marilù, forse è quello sguardo arrogante e gentile, affabile e delicato.

- Scusa, ma hai un modo delicato di esprimerti e mi chiedevo se fossi un’insegnante. -

Marilù sorride accompagnando una ciocca dietro l’orecchio.

- No, quando vivevo a Tolosa lavoravo come massaggiatrice. -

- Ah, sei francese! Ecco perché la tua voce ha un suono così dolce... - Marilù si sente avvampare, quelle parole hanno su di lei l’effetto di un complimento.

- Dove hai conosciuto tuo marito? -

- Allo studio di fisioterapia. Alessio era venuto per fare dei trattamenti e durante il massaggio gli ho parlato dei miei problemi, e subito si è dimostrato comprensivo così, una frase tira l’altra, siamo usciti qualche volta insieme. Mi sono innamorata e ci siamo sposati. In cuor mio speravo che fossimo rimasti nella mia città, ma poi gli è stata data la possibilità di trasferirsi in Italia. Io ho provato a fargli cambiare idea, ma lo vedevo così felice che non me la sono sentita di ostacolarlo. -

- E a te non capita mai di ripensare alla città? -

- A volte sì. I ricordi sono come i pensieri, non puoi fermarli. -

- Beh, però devi stare molto bene anche qui. -

- Il caffè sta salendo, ci pensi tu? Intanto porto la crostata di là. -

Marilù nota che non ha risposto alla sua domanda.

- Certo. Dove sono le tazzine? -

- Nella credenza, lo sportello sopra di te. -

Qualche minuto dopo sono tutti e quattro attorno al tavolo del salotto.

Marilù si siede volutamente accanto a Livia. - Cos’è che vi ha spinti a lasciare Milano per venire ad abitare a Casteldardo? - chiede Alessio dopo aver riflettuto se fare quell’osservazione o no.

- Il lavoro. - risponde Riccardo un po’ troppo in fretta.

- La cosa più difficile non è stata abbandonare la città o il lavoro, ma gli amici. - Livia china gli occhi, non è mai stata brava a mentire.

- Ma Milano ha le vie con tutti quei i negozi luminosi, le piazze enormi... Il Duomo. Qui non c’è niente. -

- Dici così perché non devi viverci. Milano è una città con tanti monumenti, giardini, castelli, chiese, ma è caotica e piena di smog. - replica Riccardo.

- Non è strano? - Marilù si drizza sulla schiena.

- Cosa? - chiede Riccardo con la tazzina sospesa a metà. - Sembra che il fato si sia divertito con noi: Livia e io siamo entrambe unite da una sorte comune, come dire... “Due cuori e un destino”. -

- Wow, non sei solo una bravissima pasticcera, ma anche una fine poetessa. - Fa eco Livia arrossendo.

- Oh, sì. Chiamatemi Saffo... - Marilù s’inchina davanti a lei con un ampio gesto teatrale.

Chiacchierano tutto il pomeriggio, fanno battute e ridono. Le due donne si scoprono a guardarsi nello stesso istante, sorprendendosi di quanto si sentano simili.

Il pomeriggio trascorre in fretta e per Alessio e Marilù arriva il momento di tornare a casa, con la promessa di rivedersi presto ma a casa loro.

- E mi raccomando, se hai bisogno di me non farti problemi a chiamarmi. - le dice sfiorandole una mano.

- Promesso. - dice arrossendo. Non vuole provare nessuna delle emozioni che l’hanno sorpresa, ma il pensiero di lei la tormenta ed è incapace di sottrarvisi. Perché Marilù è dolce, rassicurante, è una donna che può contare su una grazia che l’ha colpita fin dal primo momento, e teme che l’ammirazione che prova per lei possa trasformarsi in attrazione.

Devo essere impazzita, devo smettere di farmi delle paranoie su di lei.

La mattina dopo grossi nuvoloni neri minacciano un temporale. Livia controlla che le tutte le finestre siano ben chiuse, ma improvvisamente un tuono fa vibrare i vetri. La paura prende il sopravvento e in preda all’ansia telefona all’unica persona che conosce e poco dopo si precipita da lei, superando le sue paure. Marilù la accoglie fra le sue braccia e la rassicura, sente il suo viso accaldato, il respiro affannoso le solletica il collo. Le accarezza i capelli, con le mani sfiora il viso di Livia che invece di rilassarla la risveglia. All’improvviso sente le sue labbra sul collo ma subito si scosta e fugge via.

Per tutto il giorno Livia è strana, le cade tutto dalle mani, la casa è in disordine e anche il pranzo sembra che l’abbia preparato all’ultimo momento.

- Dove sei stata stamattina con quel tempaccio? - dice agitando in modo sarcastico il biglietto dell’autobus fra le dita.

- Ti sono passate di colpo tutte le tue paure? -

Livia si sente raggelare, e alla fine dice la prima cosa che le viene in mente.

- Ero terrorizzata e non ce l’ho fatta a restare da sola a casa con quel tempaccio, così ho chiamato Marilù e sono andata da lei con l’autobus. È stato terribile, mi sentivo morire ma restare a casa sarebbe stato peggio. - Riccardo si tranquillizza e la mattina dopo Livia torna a casa dell’amica.

Appena apre la porta, vede gli occhi da gatta di Marilù che la osservano e la confondono.

È stato un errore tornare da lei, si era ripromessa di non vederla più, ma deve seguire la sua natura, quella che nessuno conosce, neppure Riccardo.

- Allora, ti decidi a entrare o devo tirarti con la forza? -

- Cosa leggi? - Marilù le porge il libro. Livia dà una scorsa veloce, ma non è il libro a interessarla. Livia sente gli occhi dell’amica addosso e capisce che quella non è la solita passione passeggera.

- Ho un’idea... E se mangiassimo qualcosa insieme? Ho sentito che c’è un nuovo locale che fa degli aperitivi molto gustosi. -

Livia sospira.

- Non lo so, ho paura che ci sia troppa gente. Al solo pensiero mi sale l’agitazione. -

- Vieni qua... –

- Che intenzione hai? –

Marilù inizia a massaggiarle le spalle e il collo.

- Sei proprio brava, mi sento già molto meglio. - sospira.

Riccardo aveva ragione, Marilù è proprio l’amica di cui ha bisogno.

Prima di recarsi al ristorante si concedono una passeggiata per il paese.

Livia è spaventata, teme di bloccarsi fra tutta quella gente che va di fretta avanti e indietro, ma stranamente procede senza provare tutti quei disturbi che le impediscono di muoversi, ed è la prova che qualcosa sta davvero cambiando in lei.

- Sai, a volte crearsi un hobby aiuta a superare l’ansia. -

Livia alza un sopracciglio.

- Lo so perché ho studiato psicologia a Tolosa, e anche se non mi sono laureata so come aiutarti a superare i tuoi problemi. -

- Una psicologa massaggiatrice? Cosa potrei chiedere di più? E comunque non posso inventarmi un hobby da un giorno all’altro! -

- Potresti provarci. Ci sono tante cose a cui dedicarsi... -

- Ho seminato piantine di ogni tipo col risultato che si sono rinsecchite tutte; ho provato a dipingere, ma ho ottenuto un’accozzaglia di colori e ho forato la prima volta che ho preso la bici. -

- D’accordo, come non detto. -

Il giorno dopo, Livia riceve un messaggio dal marito.

- Oggi dovrei tornare a casa per pranzo. -

Livia chiama subito l’amica a le chiede di aiutarla a preparare il pranzo.

- Ma certo chérie! -

Passano tutta la mattinata l'una accanto all'altra a pelare carote, patate, a tagliare zucchine, peperoni, melanzane. Marilù le mostra come impugnare il coltello e in quella occasione Livia sente il profumo della sua pelle, il suo seno strofinarsi a lei, e il suo modo appassionato di parlare le stimolano pensieri e desideri inconfessabili.

- Ho pensato molto a quello che hai detto sulla difficoltà di farvi delle amicizie. -

- Cioè? -

- Potresti organizzare un piccolo rinfresco per il vicinato, sarebbe l’occasione giusta per farvi conoscere. Vedrai che dopo tutto il paese parlerà di voi. -

- Ma lo sai che è un’ottima idea? Chiederò a mio marito di aiutarmi. Spero non diventi un pretesto per un’altra discussione. -

Ma come sospettava, Riccardo si dimostra subito contrario.

- Non l’ha presa bene? - le chiede dopo aver riattaccato.

Livia sbuffa.

- Per niente. Non torna a pranzo, e come se non bastasse ho questo maledetto ritardo. -

- D’accordo, è un brutto periodo. Ora però cerca di vedere il lato positivo della cosa. -

- E quale sarebbe? -

- Che il pranzo ce lo finiamo noi. Ok per te, chérie? – Marilù le sfila gli occhiali e le asciuga gli occhi. Livia ama il modo in cui si prende cura di lei, le infonde sicurezza.

- Posso essere sincera? - Livia fa cenno di sì con la testa. - Secondo me dovresti riprendere in mano la tua vita. Le tue rinunce, le parole non dette si sono trasformate in paure, ansie, disagi. Finora hai pensato solo a tuo marito, al suo lavoro, al casolare. -

- Sono una donna sposata, ho delle responsabilità verso di lui. - ribatte.

- Non significa niente, una donna sposata è una donna sola con un uomo accanto. -

- Per me essere sposati significa rispettare il proprio marito, sentirsi parte di una famiglia, e... -

- Lo ami ancora? -

Ultima modifica il Lunedì, 16 Novembre 2020 16:29