- Per quanto tempo pensi di andare avanti così? Sono giorni che non parli con nessuno, nemmeno con me. Non puoi continuare così. - lo ammonisce dolcemente, sussurrando appena le parole, ma dentro vorrebbe urlare, costringerlo a perdonarsi dall’assurda condanna che si è inflitta. Ma Beppe non sembra aver ascoltato nemmeno una parola. Se ne sta rannicchiato nel suo letto aspettando chissà che. Poi a un tratto alza gli occhi su di lei.
- Non l’ho mai trattato come meritava, mi voleva bene, e invece io... Non mi perdonerò mai per quello che ho fatto. -
- Non è stata colpa tua, tu non potevi sapere. -
- Certo che è stata colpa mia. Non dimenticherò mai i suoi occhi. -
Dora sospira.
- Forza, vieni a tavola, è pronta la cena. - Beppe la osserva intensamente, ma subito dopo si volta dall’altra parte. Le parole della moglie non bastano a liberarlo dal senso di colpa che lo sta divorando. I ricordi di quella maledetta mattina non smettono di tormentarlo e le immagini del fedele amico riverso a terra in una pozza di sangue si materializzano nella sua mente come una condanna.
... Quella mattina Beppe era uscito prima dell’alba per andare a caccia. In macchina con lui, accucciato sul sedile posteriore c’era Argo, un Bracco dal pelo bianco e nocciola. Parcheggiò il fuoristrada su uno spiazzale e s’inoltrò col cane lungo il sentiero S1. Dopo quasi un chilometro, Beppe si trovò davanti a un albero spezzato. Poteva chinarsi e passarvi sotto, invece si bloccò con il cuore impazzito. Anche Argo era stranamente agitato; ruotava su se stesso mugolando e cercando qualcosa che non c’è più. Laica mancava molto anche a lui. Beppe l’aveva trovata lì, a quel ramo con una corda al collo: un regolamento di conti o una vendetta. Laica era un anno più piccola di Argo e la seconda di una fortunata cucciolata particolarmente dotata, troppo dotata secondo i cacciatori della zona. Beppe la adorava e da quando è morta non riesce a darsi pace. Capitava che sparisse per giorni interi, per poi ritornare a casa con una preda fra i denti. Cosa che i cacciatori del posto non erano più disposti a tollerare, forse troppo invidiosi che i loro cani non fossero all’altezza di simili prodezze. Beppe ricacciò indietro le lacrime, inspirò a fondo e oltrepassò l’ostacolo cercando di scacciare le tristi immagini che non lo lasciavano in pace. Le prime luci del sole penetravano a fatica nel fitto fogliame degli alberi quando finalmente qualcosa si mosse davanti a lui. Doveva trattarsi di un cinghiale e anche bello grosso, ne era certo. Imbracciò il fucile, ma nel caricarlo si rese conto di aver dimenticato la sacca con i pallini sul piazzale, accanto alla sua auto. Quell’unico colpo in canna non bastava a far fuori un simile bestione. Si maledisse per quella dimenticanza. A quel punto poteva anche togliersi dalla testa il cinghiale e tornarsene a casa. Guardò Argo e soffocò un’imprecazione. Poteva chiedere ad Argo di tornare indietro e recuperare la sacca, ma sapeva bene che non era né abile né intelligente come la sua adorata Laica. Lei sì che ne sarebbe stata capace. Già in altre occasioni Beppe aveva pensato di liberarsi di lui, ma non aveva mai trovato il coraggio di farlo per davvero. Gli era affezionato. Decise di concedergli l’ultima possibilità.
- Vai a prendere la sacca... corri Argo, corri più del vento! - Con uno scatto il cane iniziò a correre con l’unico scopo di accontentare il suo padrone. L’uomo decise di attendere il suo ritorno sotto le fronde di un grosso albero. Trascorsero un paio d'ore e Argo ancora non tornava. Beppe si alzò infuriato. Argo lo aveva di nuovo deluso. Non valutò nemmeno l’ipotesi che potesse essergli accaduto qualcosa. Si rimise il fucile sulla schiena e riprese spedito la via del ritorno. Il sole era salito da un pezzo e il caldo era insopportabile, ed ecco che in lontananza sentì abbaiare Argo. Ansimante e madido di sudore, Beppe corse verso di lui intenzionato a dargli una bella lezione. Dopo una ventina di metri l'uomo scorse il cane accovacciato e ansimante.
- Maledetto cagnaccio, sei una bestia inutile! - Ma perse completamente la testa quando vide che l’animale nemmeno si mosse al suo cospetto e, accecato dall’ira, imbracciò il fucile e glielo puntò contro. Pensava che quel tarlo lo avesse abbandonato, ma evidentemente col tempo si era solo rafforzato. Aveva un solo colpo in canna, uno solo, ma sufficiente per ammazzarlo. Lo sparo fu fortissimo e lasciò il cane agonizzante in una pozza di sangue. Nessun pentimento, nessun senso di colpa; a cosa gli serviva un cane da caccia se non poteva fidarsi di lui? Un ultimo, soffocato rantolo e la bestiola si rovesciò su un fianco esanime, e solo allora Beppe intravide la sacca di tela gialla. Un’ombra scura scese davanti agli occhi del cacciatore. Era la sacca che conteneva i pallini del fucile. Ne era certo. Quando si chinò per raccoglierla si rese conto che era stracciata da un lato. Beppe intuì la tragica verità: Argo gli era stato leale, non si era fermato per riprendere fiato o per disubbidire al suo ordine; l'animale voleva soltanto evitare di perdere tutti i pallini. Beppe s’inginocchiò, lo abbracciò e in lacrime implorò il suo perdono. Nel chinarsi, dal taschino del giaccone scivolarono alcuni biscotti, ultime tracce di un affetto che col tempo si era trasformato in odio. Comprese di essere stato troppo frettoloso nel giudicarlo e al tempo stesso troppo superficiale. Da quel giorno, Beppe non si è più ripreso. Ha continuamente davanti agli occhi lo sguardo compassionevole di Argo che lo fissava mentre lui gli teneva puntato il fucile. Beppe lo aveva ucciso per l’unica colpa di non essere come Laica. Ma il tradimento è un sentimento degli esseri umani. Argo era soltanto un cane e non avrebbe mai potuto tradire il suo padrone.
Dora è ancora lì e non sembra volerlo lasciare solo. L’uomo si volta e alza lo sguardo sulla moglie. Ha gli occhi gonfi di una colpa che non può più cancellare, un graffio che ha lasciato solchi troppo profondi nel suo cuore. Dora gli tende una mano, lui esita ma poi gliel’afferra con sicurezza. La donna non parla, ma il suo sguardo amorevole lo incoraggia e gli scalda il cuore. Beppe si asciuga una lacrima e si abbandona alla moglie che lo sorregge. In cucina aleggia un confortevole odore di cibo cotto, la tavola è stranamente apparecchiata per tre. Beppe guarda la moglie, non capisce.
A un preciso comando di Dora, dalla stanza accanto spunta un cucciolo di Bracchetto dal pelo bianco e nocciola, grosse orecchie penzolanti e due occhi vispi e curiosi.
Con uno scatto, il cane salta sulle ginocchia di Beppe che è travolto dall’entusiasmo e l’affetto dell’animale che gli lecca la faccia come se lo conoscesse da sempre.
- Ora bisogna dargli un nome... - sussurra la moglie col fiato sospeso.
Il viso di Beppe si illumina, bacia e stringe a sé il suo nuovo amico. Ha gli occhi lucidi e la voce che gli resta intrappolata in gola, ma nella testa riecheggia un solo nome: Argo.
F I N E