Venerdì, 07 Gennaio 2022 15:13

Fossacesia e il mistero dell'abbazia di San Giovanni in Venere: il graal

Scritto da Nicoletta Camilla Travaglini

Nicoletta Camilla Travaglini

L’abbazia di San Giovanni e Santa Maria, venne costruita in posizione predominante e solitaria, a circa un paio di chilometri dal centro abitato, a picco sul quell’insenatura conosciuto come “Golfo di Venere”, nelle vicinanze della foce del fiume Sangro e si specchia sulle morbide e trasparenti acque del mare Adriatico.

L'abbazia sorge sui ruderi di un preesistente tempio pagano dedicato Venere Conciliatrice, culto risalente IV secolo a.C., fatto rimarcato anche nel toponimo Portus Veneris, che indicava un porto alla foce del fiume Sangro durante la dominazione bizantina, vicino ad un nucleo abitato chiamato Vico Veneriis lungo la via Traiana.

Questa chiesa fortificata romanica con forti influenze borgognone e di chiara impostazione cassinese, è a pianta rettangolare divisa in tre navate aventi lo stesso numero absidi su cui spicca il presbiterio che si ubica in posizione dominante rispetto al resto dell’edificio, in quanto sotto di essa si posiziona la cripta nella quale vi sono colonne e capitelli provenienti dal antico tempio pagano su cui poi venne edificato l’attuale chiesa.

Nella cripta risaltano cinque meravigliosi affreschi raffiguranti di epoche diverse di cui il più antico posizionato sull’abside centrale. Questi pregevoli e policromi affreschi rappresentano il Cristo sorretta da due angeli nell’atto di benedire con una mano mentre con l’altra sorregge un Vangelo. In un altro dipinto posto sul lato sinistro della finestra si può ammirare il Battista insieme a San Benedetto e vicino a questi beati vi è raffigurato un monaco inginocchiato che rappresenterebbe, secondo alcune fonti, il committente dell’opera. Un altro prezioso affresco, posizionato sulla destra dell’abside, rappresenta la Vergine in trono con il Bambino ai cui lati spiccano le figure dell’Arcangelo Gabriele, come si legge dall’iscrizione posta sul suo capo, e San Nicola di Bari. Ai lati delle absidi si possono ammirare l’immagine di Cristo in trono posta tra San Vito e San Filippo, in un altro dipinto sempre il Cristo in trono appare posizionato tra il Battista, l’Evangelista ed i santi Pietro e Paolo.

Le tre navate della chiesa sono costituite da archi a sesto acuto e dall’ interno delle chiesa tramite una porticina sormontata da una lunetta nella quale si può vedere un fregio raffigurante una svastica, simbolo di prosperità e pace, si accede al chiostro. Edificato da Oderisio II venne seriamente danneggiata dal sisma del 1456; questo luogo di silenzio e meditazione è ornato da decine e decine di trifore e capitelli; lungo i percorsi vi sono reperti archeologici provenienti da siti limitrofi come anche il sarcofago ospitato sotto l’arcata del campanile.

La facciata esterna che prima del violento sisma che del 1456, era costruita in pietra e in candido marmo, fu restaurata con mattoni nella parte lesionata. Questo ingresso conosciuto come portale della luna, così chiamato per la sua foggia ad arco, realizzato da Giacomo del Vasto per commissione dell’Abate Rainaldo intorno ai primo trentennio del 1200. Sulla lunetta si possono ammirare il Cristo nell’atto di benedire, mentre ai suoi lati si posizionano la Madonna implorante ed il Battista con la testa rivolta verso il basso. Nella parte sottostante vi sono le figure di San Benedetto e del monaco committente o per lo meno di ciò che ne rimane. Sulla stele posizionata a destra del portale vi sono chiari riferimenti alla sua origine pagana con una decorazione che rimanda al culto di Venere in cui si vedono due amorini scoccare frecce contro una colomba, animale consacrato alla dea. Spostandoci più giù sono rappresentate una serie di episodi biblici riferiti al Battista ed infine un enigmatico fregio che racconta la storia di Daniele nella fossa dei leoni mentre viene nutrito dal profeta Abacuc sorretto da un angelo.

Nella stele di sinistra in alto si possono vedere dei pavoni che si dissetano in una coppa, chiaro riferimento ad elementi pagani, poiché questi animali erano consacrati a Giunone. Scorrendo questa colonna, si possono notare scene della vita del Battista e l’annunciazione, in basso si vedono scene di caccia tra uomini ed animali fantastici, forniti di code di serpenti.

La Storia

Con l’avvento del cristianesimo, questo luogo fu abitato da eremiti e uomini pii, e secondo un antica leggenda pare che alcuni monaci greco-ortodossi, durante la guerra iconoclastica nel VII secolo, emigrarono in maniera massiccia fino a giungere sulle coste di Fossacesia; tra loro vi erano anche i monaci basiliani, gli stessi che fondarono la chiesa di San Longino a Lanciano poi divenuta la chiesa del Miracolo Eucaristico, che presero possesso di quello che restava dell’antico tempio di Venere, facendolo diventare un luogo di culto cristiano dedicato alla Madonna.

Un'altra leggenda sostiene che il primo nucleo di questo luogo di culto fosse costituito da piccolo ricovero per frati benedettini, provvisto di una cappella, fatto innalzare da frate Martino intorno 540 dopo aver fatto abbattere il tempio di Venere, che versava in avanzato stato di abbandono per costruirvi una piccola cappella intitolata a San Giovanni e la Vergine Maria.

Nel 973 il conte di Teate, Trasmondo I, dispose che il monastero ricevesse delle cospicue rendite tali da trasformarlo, così, da un piccolo ricovero in un potente ed opulento monastero. Anche se questo illuminato conte fece in modo che da una semplice e povera “cella”, si trasformasse in un monastero, la sua fondazione e come la sua opulenza vanno attribuiti al conte teatino Trasmondo II che agli inizi dell’anno Mille, dopo sostanziose prebende, rese possibile la formazione di un solida struttura religiosa, economica, autonoma governata da abati. Come segno di gratitudine nei confronti del conte i monaci, alla sua morte, sopravvenuta nel 1025, lo seppellirono nella cripta dove tuttora riposa.

Se risulta un pochino complicato possedere dati certi sulla sua fondazione e sulla sue prime fasi della sua esistenza, vi sono precisi riferimenti storici relativi alle sue fasi costruttive che vanno dal 973 fino al 1204 circa, dove raggiunse il suo culmine con l’abate Oderisi II il Grande.

I secoli tra il X e l’XI furono molto importanti per la crescita religiosa, culturale ed economica dell’abbazia la quale divenne in breve tempo uno dei più fiorenti luoghi di culto centro-meridionali annoverando tra i suoi possedimenti oltre duecento feudi sparsi in diverse zone d’Italia e fuori dal nostro territorio nazionale come ad esempio in Dalmazia.

Nella seconda metà dell’anno Mille circa, il terzo abate Monastico, Oderisio I, appartenete alla famiglia degli Pagliara, ramo secondario dei Conti dei Marsi, collegato ai Di Sangro, aveva già fatto allestire una fiorente e ricca biblioteca, una ottima scuola retta dai confratelli; fortificò, attraverso fossati, torri e mura la chiesa, costruì ospedali ed officine, ma soprattutto, fondò la cittadina di Rocca San Giovanni, che divenne, in breve tempo il più fiorente ed opulento possedimento della badia ed oggi nella chiesa madre vi sono molte reliquie e volumi che facevano parte del ricco tesoro dell’abbazia di San Giovanni in Venere.

I Di Sangro, potente ed antichissima casata discende dai duchi di Borgogna che a loro volta erano di stirpe carolingia, longobarda e, naturalmente, normanna. Questi nobili, ovviante, furono legati da vincoli strettissi alla Chiesa e in special modo al potente, ricco e stimato ordine Benedettino. Nel IX secolo essi, vennero in Italia e si stabilirono maggiormente negli Abruzzi, ove riuscirono a conquistare e, quindi, a governare diversi feudi e contee, prendendo il titolo di “Conti dei Marsi”.

Nel 1250 pochi erano i sopravvissuti di questa discendenza. Gli altri rami della famiglia come i Borello e Di Sangro si ritirarono in Sicilia. All’inizio del 1500 essi ottennero il titolo di marchesi, alla fine dello stesso secolo divennero Duchi e pochi anni dopo questo titolo acquisirono, anche, quello di Principi, governando, il loro vastissimo impero in maniera tirannica, dispotica e violenta! Nel loro albero genealogico, vi sono presenti anche figure di spicco come Oderisio, San Bernardo di Chiaravalle fondatore dei Templari, Santa Rosalia, Innocenzo III, Gregorio III, ideatore e iniziatore della Santa Inquisizione, Paolo IV Carafa, che contrastò in tutte le maniere l’Ufficio della Santa Inquisizione, Benedetto XIII.

Sempre della stessa famiglia dei Di Sangro, come si è potuto ampiamente vedere, Oderisio II “il Grande”, portò enorme lustro all’abbazia attraverso mezzo secolo circa di conduzione del luogo sacro, incrementando le opere degli abati precedenti ed iniziando i lavori di ampliamento conferendogli la struttura architettonica attuale e per tali meriti sono ricordati in un epigrafe posta sulla facciata principale della badia. Durante il dominio normanno, fu coinvolta in giochi politici poco chiari che la portarono, suo malgrado, a subire diversi saccheggi. Da qui inizia un periodo di inesorabile e lenta decadenza fatta anche di devastazioni e violenze come quella perpetrata dai Veneziani nella prima metà del 1200, poi da parte degli avventurieri di Ugone Orsini, quindi fu la volta dei di Carrara; i corsari di Pialy Pascià, che rasero al suolo Santo Stefano Riva Maris ed altri luoghi sacri si accanirono anche contro San Giovanni in Venere, come non fu risparmiata neanche da un orda di briganti che nel 1600 infestavano quei luoghi. Anche Madre Natura volle lasciare tangibili segni del suo passaggio attraverso un terribile sisma che 1456 provocò gravi danni all’abbazia già provata da un periodo non molto florido, cosa che si ripete nel 1627 con un altro terremoto che squassò l’Italia centro-meridionale; ed infine la piccola nobiltà locale fece razzia dei suoi beni. In piena decadenza, intorno alla fine del 1500, passò nelle mani della confraternita di San Filippo Neri. Allo stato di ulteriore deterioramento, verso la fine del ‘700, passo nelle mani del regio demanio. Distrutta ulteriormente durante la Seconda Guerra Mondiale fu ristrutturata dalle amorevoli cure dei Padri Passionisti attuali custodi di questo immenso bene.

Questa badia ha visto passare re e papi come Pietro da Morrone, futuro Celestino V che, secondo alcune fonti, prese i voti in questo luogo, per poi tornarvi, al fine di cercare proventi durante la costruzione della chiesa di Santa Maria di Collemaggio.

Come trovò i soldi Pietro da Morrone per il terreno di Collemaggio?

Vi sono fonti che attestano che Pietro Angelerio, dopo aver iniziato i lavori della costruzione del luogo di culto, e senza aver acquistato il terreno circostante, parte alla volta dell’abbazia di San Giovanni in Venere e dopo alcuni anni egli torna con il danaro sufficiente a poter compare il terreno dove oggi sorge la basilica di Collemaggio!

Secondo alcuni, Pietro da Morrone per comprarsi questi terreni, abbia chiesto sovvenzioni, forse alla potente abbazia di San Giovanni in Venere, in cambio di qualcosa di prezioso che potrebbe essere il in quanto egli, incontrando i templari in Francia, pare che questi gli abbiano dato qualcosa di prezioso da custodire, e se egli non aveva denaro per comperare i terreni della futura abbazia, costruita dopo il suo ritorno dal viaggio, per poter essere finanziato aveva bisogno di dare in garanzia qualcosa ai suoi finanziatori! Durante il periodo del suo soggiorno a Fossacesia, nominò cardinale il suo vice Tommaso di Ocre, che nel giro di poco tempo, divenne, per volere del successore di Celestino V, Bonifacio VIII, il primo abate Commentario della badia di San Giovanni in Venere ed ebbe il compito di occuparsi delle esequie del Papa Celestino V.

 

Ultima modifica il Venerdì, 07 Gennaio 2022 16:32