Quel lamento era l’unica cosa che guastava lo scenario.
- Posso aiutarla? - le chiesi avvicinandomi. La donna alzò la testa e mi guardò. Aveva i capelli scompigliati e gli occhi tristi, ma anche con qualche chilo in più la riconobbi subito. Eleonora Sandrini, una mia vecchia compagna di liceo che mi prendeva sempre in giro per i miei brufoli e l’aria da secchione. Lei era quella bella e allegra, io il goffo e timido.
- Ele, sei proprio tu? Mi riconosci, sono Stefano, Stefano Perrozzi. - Per un attimo smise di lagnarsi, guardandomi come per mettermi a fuoco.
- Stefano?! Come sei cambiato! - riuscì solo a dire, poi ricominciò a recriminare. Mi raccontò che l’auto l’aveva lasciata a piedi, che il cellulare era scarico e che nessuno le si era avvicinata per chiederle se avesse bisogno di aiuto.
- Ho un colloquio di lavoro con un tizio fra mezz’ora. Ha un ristorante in centro e sta cercando una nuova cameriera. Se arrivo in ritardo penserà che non sono affidabile o che non m’interessi affatto. -
- Smettila di lamentarti, a tutto c’è una soluzione. - la ripresi con dolcezza. - Ho lasciato il cellulare a casa, ma non abito lontano. Posso accompagnarti a casa mia, così potrai telefonargli e avvisarlo dell’imprevisto. - Eleonora salì sulla canna della bici e si resse forte a me. Ecco, la nostra storia cominciò in questo modo. All’inizio le cose fra noi andavano bene ed eravamo anche molto affiatati, ma le prime difficoltà dimostrarono la completa diversità della nostra concezione della vita di coppia. Così mi ritrovai a desiderare di passare le mie serate con gli amici, e le volte che restavo a casa a guardare un film con lei, finivo per deprimermi ancora di più. Ora che mancavano soltanto due mesi al nostro matrimonio, io mi trovavo già nella condizione di essere consolato.
Era il giorno del mio compleanno, con Eleonora avevamo concordato di andare dal sarto per i vestiti e passare dal ristorante ma sua madre non si era sentita bene, così aveva rimandato gli appuntamenti per stare con lei. Avevo pensato di ordinare una pizza per cena e starmene un po’ per conto mio, ma la telefonata di Vittorio mi distolse dai miei pensieri. Gli dissi che quella sera non avevo alcuna voglia di uscire.
- Stavo per ordinare una pizza, ma se vuoi ne ordino una anche per te. -
- Ma è sabato, Stefano! E il sabato è fatto per uscire. -
- No, non questo sabato. - Sapevo già dove voleva andare a parare. Di certo Vittorio voleva propormi di trascorrere la serata in qualche locale pieno di gente, cosa che non mi andava proprio.
- Mi dispiace, ma credo che dovremo rimandare a un’altra volta. -
- Lo so che non ti piacciono i luoghi affollati, ma se ti proponessi un locale tranquillo? Dai, mangiamo qualcosa, ci divertiamo un po’ e ce ne torniamo a casa. Non ho voglia di trascorrere il sabato sera da solo. - Vittorio era proprio testardo quando ci si metteva. Sospirai, infine accettai. E poi gli amici servono a questo, no? Indossai le prime cose che trovai nell’armadio, scesi in strada e lo aspettai sul marciapiede.
- Allora, dove si va? -
- Ho già una mezza idea, ma prima devo passare da mio fratello. Devo prendere del materiale da portare allo studio. - Vittorio e suo fratello Claudio erano entrambi dentisti e avevano una casa in periferia. D’inverno, ci ritrovavamo attorno al camino, mentre d’estate l’appuntamento era sotto il gazebo dell’ampio giardino dove trascorrevamo intere serate a mangiare e a organizzare giochi di società. Era il posto più adatto dove trascorrere i sabati sera in compagnia.
- Vieni, ho qui il libro che mi hai chiesto. - Entrammo e quando Vittorio accese la luce, rimasi letteralmente senza parole.
- Buon compleanno, Stefano! - I miei amici erano tutti lì ad aspettarmi. C’era Damiano, che da quando si era fidanzato aveva perso tutti i chili di troppo. Monia, che si era iscritta a un corso di cucina e sognava di diventare una grande cuoca. Francesco, che lavorava in una biblioteca e desiderava di diventare uno scrittore affermato. Claudio era l’unico sposato e infine Vittorio, che da quando la sua ragazza l’aveva lasciato, aveva ripreso a fare sport e gli erano passati tutti i dolori. Non avvertiva più nemmeno quei fastidiosi mal di testa che negli ultimi tempi erano diventati insopportabili. Mi saltarono addosso, abbracciandomi e dandomi pacche sulle spalle. Che matti!
- Vi voglio bene ragazzi, mi avete fatto proprio una bella sorpresa. -
- Anche noi ti vogliamo bene, per questo abbiamo pensato al dopo-sorpresa. -
- Dopo-sorpresa? - Per quanto mi riguardava, anche se la serata fosse finita lì, sarebbe stata comunque la più bella sorpresa di compleanno mai ricevuto.
La mattina dopo furono i raggi del sole a svegliarmi che, filtrando dalle imposte, puntavano dritti sui miei occhi. Imprecai per essermi dimenticato di chiuderle la sera prima. Erano le otto, in testa avevo ancora le tracce della notte appena trascorsa. Sarei potuto rimanere a letto e sperare di riaddormentarmi, ma ormai ero sveglio, così mi vestii e salii in macchina con l’intenzione di prendere un caffè doppio in uno degli stabilimenti sul lungomare. Abbassai i finestrini e lasciai che l’aria mattutina mi ossigenasse i polmoni. Che meraviglia! Ma all’improvviso una bicicletta sbucò da una fila di macchine parcheggiate tagliandomi la strada.
- Cristo santo! - urlai sterzando. Scesi dall’auto e mi precipitai dalla ragazza che, per lo spavento aveva perso l'equilibrio ed era finita a terra. La soccorsi sperando che non si fosse fatta troppo male.
- Tutto bene? - chiesi, ma, prima che la ragazza potesse rispondere, capii che non stava affatto bene. Non riusciva a muovere una spalla e dal naso le colava un filo di sangue.
- Forse è meglio chiamare un’ambulanza. -
- No, no. Sto bene, sto bene. - incalzò, cercando di tranquillizzarmi. - Non è niente. Soffro di epistassi, ci sono abituata. E per quanto riguarda la spalla, guarda, va già molto meglio. -
- Tu piuttosto, dove andavi così di fretta? - mi rimproverò, tappandosi il naso con un fazzoletto che prontamente le avevo teso.
- Io?! E tu attraversi la strada sempre senza guardare? Sei un’incosciente! -
- Hai ragione, ma proprio non ti avevo visto. E non preoccuparti per l’auto, penserò io a pagare tutti i danni. -
- Come puoi pensare alla macchina in un momento simile? - le chiesi, osservando il paraurti ammaccato e la gomma a terra. Dovevo aver preso lo spigolo del marciapiede, prima di andare a colpire il palo del divieto di sosta. Merda! Non potevo nemmeno contare sulla ruota di scorta. Mi ero dimenticato di farla riparare l’ultima volta che l’avevo cambiata.
- È una vera fortuna che non mi sia fatta niente. A parte questi graffi... - si lamentò. Intanto il naso aveva smesso di sanguinare.
- Forse è meglio se troviamo un posto dove darti una pulita. -
- E la bici? -
- Se n’è uscita solo la catena, ma a quella ci penso io. Che ne dici di prenderci qualcosa in quel bar? Vorrei farmi perdonare per tutto il casino che ho combinato. -
- D’accordo, ma solo se offri tu. Stamattina sono uscita con la bici e mi sono dimenticata di prendere i soldi. -
- Certo che offro io, è il minimo che possa fare. -
Occupammo un tavolo vicino alla vetrata.
- Per poco non ti spedivo all’ospedale e non so nemmeno il tuo nome. Io mi chiamo Stefano. - dissi sorseggiando un cappuccino, mentre lei aveva ordinato una cioccolata con panna.
- Io sono Marisa. - le strinsi la mano e dal modo in cui tremava, mi resi conto che era ancora molto scossa.
- Ora puoi dirmi dove andavi di mattina presto, e per di più di domenica? - Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e solo allora mi accorsi di quanto era bella.
- Avevo bisogno di un caffè e poi mi piace la spiaggia quando non c’è nessuno, mi rilassa. - Marisa piegò la testa di lato e mi sorrise.
E mentre cercavo di restare concentrato su quello che era appena successo, una parte di me stava già costruendo il suo castello in aria. Mi sentivo tradito dai miei stessi sentimenti. Certo che la vita a volte prende percorsi del tutto inaspettati! Il tempo insieme trascorse velocemente e arrivò il momento di salutarci. Mi dispiaceva lasciarla. Avrei voluto tanto chiedere di rivederci ancora, ma non mi sembrava il caso. E poi stavo per sposarmi.
- Ma cos’hai qui? Ti sei sporcata col sangue? - le chiesi, notando una macchia rossa sul polsino della camicia.
- No, non è sangue. Mi sono sporcata con il colore a olio. Mi piace dipingere. -
- Davvero?! - esclamai.
- Sì. Ho una galleria sotto i portici dove espongo i miei quadri. -
- Mi piacerebbe vederli. -
- Be’, ora è meglio che vada. -
- Sei sicura di sentirti bene? -
- Sì, stai tranquillo. E poi ho il tuo numero di telefono, semmai mi sentirò male. - vederla sorridere mi fece sentire subito meglio.
- Posso chiamarti un taxi, se vuoi. - le suggerii, appena usciti dal bar.
- No, te l’ho detto, sto già meglio. Guarda, la spalla già non mi fa più male. - le rimisi a posto la catena della bici e si allontanò. Il giorno successivo ripresi l’auto dal gommista e mi fermai in centro. Mi accorsi di aver lasciato ancora una volta il cellulare in macchina, ma non avevo voglia di tornare a prenderlo. Ne avrei avuto per una mezz’ora. Cosa poteva succedere in mezz’ora? Ma appena tornai in macchina, scoprii che c’erano almeno una dozzina di chiamate perse. Maledizione, dovevamo andare al corso prematrimoniale e mi era proprio passato di mente!
- Cos’hai avuto da fare di così importante? - mi rimproverò Eleonora appena la rividi. Era proprio furiosa. Io guardavo la donna che sarebbe diventata mia moglie, ma nella testa avevo solo Marisa. L’idea di legarmi a lei per tutta la vita iniziava a spaventarmi. La settimana dopo, finito di lavorare, decisi di fare un salto dal fotografo. La strada era libera e la nebbia si era dissolta, guidavo rileggendo l’elenco di tutte le cose da fare per il matrimonio, quando fui colto da un malore. Mi fermai e scesi dall’auto. Non provavo alcun senso di nausea, né giramenti di testa o colpi di sonno. Mi stavo solo rendendo conto che la mia vita non sarebbe stata più la stessa, dopo il matrimonio. Mi ossigenai i polmoni, risalii in auto e arrivai dal fotografo, dove ad accogliermi fu un uomo sulla sessantina. Mi presentai e gli spiegai la situazione.
- Venga nel retro, così parlerà direttamente con mia figlia. -
- Stefano! Ci incontriamo ancora. -
- Marisa! E tu che ci fai qui? Non dovresti stare a dipingere qualche quadro? - le domandai la prima cosa stupida che mi venne in mente.
- Solo nel week end, durante la settimana invece vengo ad aiutare mio padre. Tu piuttosto, che ci fai da queste parti? -
- Cercavo un fotografo e un amico mi ha consigliato questo studio, ma non mi aspettavo di incontrare te. -
- Ti dispiace? -
- No, no. Al contrario, mi fa molto piacere. -
- Come mai stai cercando un fotografo? Ti sposi? - Quella domanda mi colse di sorpresa.
Risposi qualcosa confusamente.
- No, è per la Comunione di mia nipote. Ho promesso a mia cognata che l’avrei aiutata con l’organizzazione. -
“Sono un po’ stanco...” “...Oggi ho avuto una giornata pesante...” erano queste le scuse che usavo negli ultimi tempi per non stare con Eleonora. Non le avevo parlato di Marisa, non sapevo nemmeno io perché. O forse sì, lo sapevo eccome. La verità è che sentivo crescere un sentimento nuovo nei suoi confronti, un sentimento che mi faceva stare male e bene allo stesso tempo. Era forse amore? Non sapevo se era amore, ma qualsiasi cosa fosse, non la provavo più per Eleonora.
Fine prima parte